‘La chiropratica che negli Stati Uniti è professione sanitaria, è nota come un ottimo antidoto al mal di schiena, ma potrebbe diventare anche una cura per la pressione alta, a pari merito, addirittura, con le pillole. Lo rivela uno studio appena pubblicato sul Journal of Human Hypertension, coordinato da George Bakris del Centro per l’ ipertensione dell’ Università di Chicago, dal quale è emerso che la correzione del malposizionamento della prima vertebra cervicale, l’ atlante, oltre che giovare al collo, rimette in riga la pressione. Allo studio hanno partecipato 50 persone che presentavano questa vertebra male allineata rispetto al resto della colonna e soffrivano, contemporaneamente, di ipertensione. Metà sono stati trattate con la manipolazione chiropratica per riallineare l’ atlante, l’ altra metà «maneggiate» comunque da un chiropratico, ma con un intervento generico (il confronto con il falso trattamento serve ad escludere un eventuale effetto placebo). A distanza di due mesi, i ricercatori hanno misurato la pressione e hanno osservato nel primo gruppo una riduzione significativa sia della massima, sia della minima. Un effetto curativo sovrapponibile a quello che si ottiene coi farmaci. «È un risultato interessante, – avverte Guido Grassi, professore di medicina interna all’ Università di Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo di Monza -. Va preso con cautela e, confermato; bisognerà soprattutto capire se l’ azione antipertensiva si mantiene nel tempo». Anche se fosse temporanea, tuttavia, nulla vieterebbe di ripetere la procedura, dato che la tecnica non ha controindicazioni. Ma come si arriva a questo effetto? In ambito chiropratico si è osservato più volte che la manipolazione della parte alta della colonna cervicale porta a un deciso miglioramento della circolazione cerebrale, che potrebbe riflettersi anche in una riduzione della pressione. Il meccanismo esatto che lega il riposizionamento dell’ atlante al calo di pressione, tuttavia, non è chiaro, né è stato esplorato in questo studio. «Di sicuro – aggiunge Grassi – questi dati aggiungono un nuovo tassello alla cosiddetta “ipotesi neurogena dell’ ipertensione”, idea secondo la quale il sistema nervoso è coinvolto, in vario modo, nello sviluppo e nella progressione della malattia, almeno della forma definita essenziale, cioè senza causa apparente». È di qualche settimana fa la scoperta, fatta nei topi, che questa variante può essere legata all’ eccesso di una proteina, Jam-1, nei vasi di un’ area cerebrale. Questo causerebbe infiammazione, alterazione della circolazione, riduzione dell’ afflusso di ossigeno al cervello e, in ultima analisi, ipertensione. In questo caso, però, Jam-1 non c’ entra. «Era già noto – spiega Grassi – che la compressione dei vasi e dei nervi a livello del collo da parte delle vertebre cervicali determina una sofferenza cerebrale e si associa a ipertensione, forse legata a un’ iperattivazione di quella parte del sistema nervoso deputata alla regolazione della pressione. In questo caso, il ritorno dell’ atlante nella sua posizione corretta grazie alla manipolazione permette di liberare queste strutture dalla costrizione e quindi, verosimilmente, di riportare tutto il sistema alla normalità con conseguente abbassamento della pressione».
La ricerca cui faceva riferimento il Corriere della sera: Bakris et al., Atlas vertebra realignment and achievement of arterial pressure goal in Hypertensive patients: a pilot study, Journal of Human Hypertension 2007, 21, 347-352.